Quando una corsa è più di una corsa
La mia Trans* Freedom Run
Mettere in ordine i pensieri e dare un nome a tutte le emozioni che ho provato affrontando questa corsa, mi risulta difficile e sì, anche a distanza di giorni trovare il modo corretto di esprimere quanto vissuto mi risulta piuttosto arduo.
Perché come posso spiegarti quanta vita ci sia racchiusa in questi trenta chilometri? Che oltre ad essere simbolo dei miei anni, raccolgono nel loro significato gran parte della mia essenza. Infatti non è un caso che questa corsa abbia avuto il nome di Trans* Freedom Run, che io l’abbia affrontata nella giornata internazionale contro l’omobilesbotransfobia e che abbia scelto proprio quel dato percorso: Vigone- Montoso.
Ma di questi aspetti credo di averne già sufficientemente parlato nei miei ultimi post che puoi tranquillamente recuperare, se ti va, nel mio canale substack. Perciò credo che adesso, per quanto mi è possibile, sia giunto il momento di provare a raccontarvi questa corsa.
La mia Trans* Freedom Run
Non vi parlerò di tempi, di integrazione e di bpm: uno perché non sono un professionista e due perché farlo in questo caso priverebbe questa corsa e questo racconto di tutto il romanticismo.
Sia chiaro non sarà neanche un racconto melenso e stucchevole, però cercherò di raccontare tutto quel di più che ha reso questo evento così importante per me.
Quel di più per me sono momenti, istanti che ho cercato di catturare per poi poter lasciare impressi dentro di me e anche su una pagina digitale. Tanti di questi coincidono con la presenza di Fede in tutto il percorso, mi è stata accanto come una vera compagna di viaggio e i suoi occhi così pieni di emozione mi hanno permesso di comprendere in medias res che stessi davvero facendo qualcosa di importante.
Mi tengo stretto anche tutto l’entusiasmo che ho provato sin da subito, perché è stato sufficiente partire per lasciarmi alle spalle tutta l’agitazione. Mi è bastato vedere, tra le crepe di un cielo nuvoloso, un raggio di sole che a distanza di 29km illuminava proprio la mia meta.
E in questo barattolo immaginario della gratitudine trovano posto anche tutte le persone che mi sono state accanto: la telefonata con Giulia al decimo chilometro che con la saggezza di chi certe distanze le ha già percorse, mi invita a non parlare troppo per non sprecare fiato.
L’altra telefonata fatta a Merilù, al diciassettesimo chilometro perché il 17 maggio è il giorno del suo compleanno e questo numero per lei non è solo un numero.
La videochiamata di Alessia fatta a Fede mentre mi sta aspettando per il primo ristoro in salita e che nonostante la scarsa presenza di segnale, riesce ad intercettarmi e a fare qualche metro insieme a me.
Il tifo esagerato sulla chat WhatsApp del team ASICS FrontRunner che mi seguiva tramite live track.
La mia famiglia e gli amici che mi hanno aspettato all’arrivo. Mio papà che quel giorno ha comprato la sua prima cassa bluetooth per far partire senza successo We are the Champions. Mia mamma che mi ha fatto credere che non ci sarebbe stata e invece era lì accanto a quella panchina pronta ad aspettarmi e a sollevare le mie braccia al cielo all’arrivo.
Queste che hai appena letto sono le uniche statistiche del cuore che potevo fornire, perché la performance e il concetto stesso di questa sono quanto di più distante da me ci possa essere. E credo ancora nelle piccole imprese compiute da persone comuni, quelle che non sposteranno neanche di un grado l’ago della bilancia delle sorti di questo pianeta, ma che comunque generano del bene.
E questa Trans* Freedom Run nel suo piccolo ha fatto del bene per la comunità T, raccogliendo oltre mille euro per il Movimento Identità Trans di Bologna, una delle associazioni lgbt+ più importanti di questo Paese, ma soprattutto questa corsa ha fatto molto bene a me.
Cosa si prospetta per il futuro
Sì, questa corsa mi ha fatto molto bene tanto quanto me ne ha fatto preparala. Mi hanno fatto bene anche tutti gli intoppi non previsti, perché mi hanno permesso di sperimentare e affrontare momenti di crisi, che poi nel giorno della Trans* Freedom Run non ci sono stati.
Ma soprattutto questa corsa mi ha portato a nuove consapevolezze e sicuramente mi ha mostrato una versione di me che non conoscevo, una versione più sicura di sé e delle sue potenzialità.
Cosa farò in futuro ancora non lo riesco a mettere bene a fuoco, ma so che questo tipo di corse che sono molto più di semplici corse, siano la mia dimensione. Perché la Trans* Freedom Run è stata un punto di partenza, una forma di rivendicazione in corsa di un diritto che alle persone trans viene sistematicamente vietato: quello allo sport.
Perciò anche se ancora non mi è ben chiaro quale sarà il mio prossimo progetto, so che la corsa è la mia forma di lotta e che spero possa diventarlo anche per molte altre persone della mia comunità.




